I nuovi servizi di welfare si adattano all’era della pandemia

I nuovi servizi di welfare si adattano all’era della pandemia

I lavoratori hanno sperimentato il peso del lavoro da remoto forzato e chiedono un nuovo welfare che punti sulla salute e sul sostegno familiare: lo rivela una survey di Welfare4You

 

 

Il welfare nel 2021? Ha poco a che vedere con il welfare pre Covid. Il motivo è semplice: la pandemia ha dato un’innegabile – e potentissima – spinta all’affermarsi delle politiche di benessere aziendale nelle loro forme più concrete, con le imprese che si sono trovate a fare i conti con le reali necessità dei propri lavoratori e a offrire specifici servizi per assicurare il benessere psicofisico dei dipendenti. Servizi che, a quanto pare, sono condivisi in tutto il mondo, esattamente come le esigenze che si sono delineate globalmente nell’ultimo anno. Come si sono organizzate quindi le aziende italiane? Che cosa hanno messo in campo nello specifico?

 

A queste e ad altre domande ha risposto una survey di Welfare4You, provider milanese specializzato nella gestione dei servizi di supporto al welfare aziendale, prendendo in considerazione un campione di circa 100 imprese presenti in Italia, soprattutto grandi (con più di 250 dipendenti) e medie (tra i 50 e i 250 lavoratori). Obiettivo della ricerca era capire come siano cambiati i piani welfare delle imprese considerando le specifiche criticità che il Covid ha portato con sé, mostrando anche come le nuove politiche aziendali abbiano impattato sui servizi, sui budget dei lavoratori, sui Premi di risultato (Pdr) e sui target del 2020 fissati nei mesi antecedenti la pandemia.

 

Assicurazioni e palestre web, i nuovi servizi post Covid

 

Coperture assicurative per far fronte al contagio da Covid, consulenze psicologiche gratuite e servizi ludico-educativi sono solo alcuni dei servizi adottati trasversalmente dalle aziende italiane, che per assicurare il benessere ai propri dipendenti hanno guardato con attenzione ai nuovi problemi e al nuovo stress. Se prima del 2020 lo stress era legato alle relazioni sul posto di lavoro e all’eccesso di ore in ufficio, nel corso della pandemia i lavoratori si sono trovati a fare i conti con il peso del lavoro da remoto forzato, con la costante connessione e con la totale reperibilità.

 

Al primo posto tra i nuovi servizi introdotti dalle aziende successivamente a marzo 2020, e quindi dall’inizio della pandemia, troviamo con il 57% le polizze assicurative specifiche per coprire i costi dell’eventuale contagio da Covid-19 (ma non estese alla famiglia del dipendente: solo il 18% delle aziende ha scelto questa opzione). Seguono i corsi sportivi online (nel 41% dei casi) e i servizi di consulenza psicologica e genitoriale (il 35% delle aziende). Il podio conferma un welfare che tende ad adattarsi alla situazione contingente, puntando l’obiettivo sulla salute fisica e mentale e sul sostegno familiare al lavoratore che si trova a dover bilanciare vita privata e lavoro tra le mura domestiche. La tendenza è confermata anche da altri nuovi servizi erogati, dal supporto all’istruzione ai servizi di babysitter, fino ai voucher per gli asili, i servizi di sostegno ai caregiver informali — ovvero i lavoratori con familiari non sufficienti — e quelli di assistenza sanitaria in videocall.

 

Le aziende, che nella maggior parte dei casi si affidano a provider esterni outosourcer per la gestione dei piani di welfare, hanno inoltre attivato nel 18% dei corsi di digital detox: le conseguenze del lavoro da remoto (diverso dal concetto di Smart working) si sono fatte più chiare nel corso dei mesi e, se inizialmente la pianificazione del nuovo welfare pandemico era confusa e solo ipotizzata, con il tempo le nuovi fonti di stress lavorativo si sono palesate. La reperibilità costante, la difficoltà a disconnessi e il rischio di burnout hanno quindi portato un buon numero di aziende a chiedere ai provider programmi specifici di disintossicazione digitale, per mostrare ai dipendenti le modalità migliori per trovare il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata.

 

Il budget destinato al welfare è aumentato nel 71% dei casi

 

Sono pochissime (meno del 10%) le aziende, tra quelle intervistate, che da marzo 2020 a marzo 2021 hanno diminuito il budget destinato ai piani di welfare aziendale, trovandosi nella situazione di tagliare i costi. Nel 71% dei casi le aziende hanno deciso di non risparmiare su questa voce, implementando addirittura il plafond a disposizione dei lavoratori (con una media di 350 euro a dipendente), ritenendo il welfare non una mera spesa ma un’opportunità per consolidare l’engagement dei lavoratori e per favorire la ripartenza in senso resiliente.

 

Per quanto riguarda i Pdr, come prevedibile, molte aziende non hanno raggiunto i target prefissati a inizio 2020, prima della pandemia. Il 50% delle imprese intervistate ha dichiarato in questo senso di non poter riconoscere il premio, mentre il 44% degli intervistati ha deciso di rivedere i target, corrispondendo comunque il premio nel 2021. Solo il 6% ha invece deciso per il welfare premiale, ovvero per il riconoscimento dell’impegno delle persone associandolo a meccanismi di welfare aziendale a titolo di premio.

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