L’occasione (persa) per lo sviluppo sostenibile delle imprese

L’occasione (persa) per lo sviluppo sostenibile delle imprese

Gli aiuti per il rilancio delle imprese dovrebbero legarsi un nuovo modello di business delle aziende. Ma i decreti governativi, almeno in Italia, sembrano andare più verso l’assistenzialismo.

 

Prima è arrivato il decreto Cura Italia. Poi è arrivato il decreto Liquidità. Quindi doveva arrivare il decreto Aprile. Ma aprile è finito; è arrivato il mese di maggio e il decreto ha cambiato nome trasformandosi in “Rilancio”: per prendersela con più calma si è deciso di slegarlo dalla variabile tempo.

 

Alla fine il decreto è arrivato il 13 maggio 2020, con numerose misure per imprese, famiglie e lavoratori che movimentano 55 miliardi di euro. In particolare, l’Esecutivo ha voluto dare ossigeno alle aziende: dalle Piccole e medie imprese (sono previsti contributi a fondo perduto per quelle con fatturato fino a 5 milioni) alle più grandi, con le quali si schiera Cassa depositi e prestiti che può intervenire nella ricapitalizzazione. Poi niente pagamento del saldo e acconto dell’Irap per tutte le imprese (e non solo quelle con almeno 5 milioni) con ricavi fino a 250 milioni.

 

Come ha detto il Premier Giuseppe Conte, per reagire all’emergenza coronavirus, il Governo, con i vari decreti, ha messo in campo una “potenza di fuoco” del valore di 400 miliardi di euro. A metà maggio, però, i fondi dal sistema bancario alle imprese procedono a rilento, tanto che lo stesso Primo Ministro ha manifestato la volontà di agire per la “rimozione degli eventuali passaggi che rallentano l’erogazione”.

 

In attesa di assistere al cambio di passo – fondamentale visto che lo stesso Conte ha parlato di “mesi molto difficili”, “brusca caduta del Pil” e di “conseguenze economiche molto dolorose” – le misure governative hanno quasi più sapore “assistenziale” (copyright di Confindustria) che non di rilancio.

 

Balletto delle cifre e polemiche a parte, sembra mancare da parte del Governo uno stimolo per far effettuare un concreto cambio di rotta sul tema della gestione delle imprese, provando a premiare una svolta etica: fino all’inizio del 2020, anche grazie alla Business Roundtable – il gruppo di amministratori delegati delle principali aziende americane – il nuovo mantra era che il profitto non doveva più essere l’unica bussola che guidasse l’azienda.

 

Soldi allo sviluppo etico delle imprese

 

Per esempio, la Danimarca – Paese colpito meno duramente di altri dalla pandemia – sin da metà aprile ha deciso di estendere i programmi di aiuto a imprese e lavoratori in difficoltà puntando a sostenere solo alcune aziende. La discriminante decisa dal Governo del Paese scandinavo riguarda il comportamento delle imprese. In particolare, sono escluse dal sostegno statale quelle aziende che pagano le imposte nei paradisi fiscali, che pagheranno i dividendi ai soci nel 2021 e 2022 e che riacquistano le proprie azioni.

 

Per dovere di cronaca, bisogna precisare che anche in Italia esistono vincoli simili a quelli danesi per ricevere il soccorso. Per esempio l’intervento di Sace, la società per azioni di Cassa depositi e prestiti specializzata nel settore assicurativo-finanziario, che ha messo a disposizione 200 miliardi di euro per garantire liquidità alle imprese, ai professionisti e alle partite Iva, è legato al rispetto ad alcuni obblighi: divieto di distribuzione dei dividenti e di riacquisto di azioni nel 2020; obbligo di gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali; obbligo di destinare il finanziamento al sostenimento costi del personale, a investimenti o a finanziare il circolante relativo alle attività svolte in stabilimenti siti in Italia.

 

Gli esperti hanno fatto notare che al divieto di distribuzione di dividendi e al riacquisto di azioni proprie è stato apposto un limite temporale (meno stringente di quello danese), ma non c’è un temine specifico sull’obbligo di gestire i livelli occupazionali attraverso gli accordi sindacali. In generale è un primo passo verso lo sviluppo sostenibile: chi presta i soldi vuole avere la certezza di aiutare le aziende meritevoli.

 

Lo Stato nei Cda? No, grazie, bastano i soldi

 

Poi c’è stato il capitolo – rimasto un’ipotesi – di far entrare lo Stato nei Consigli di amministrazione delle aziende che ricevono gli aiuti di Stato. Qualcuno ha parlato di “sovietizzazione” delle aziende, respingendo con forza l’intervento statale. In Germania non è una procedura sconosciuta: per far fronte alla crisi economica, attraverso il Fondo per la stabilizzazione economica e il Kfw, la banca di sviluppo pubblica, controllata dal Governo federale e dai Länder, Berlino ha stanziato circa 500 miliardi di euro per sostenere le imprese che, se necessario, possono essere nazionalizzate.

 

Per esempio, a fronte del sostegno di 9 miliardi di euro, Lufthansa s’è vista entrare il Governo nel suo capitale con il 25% delle quote con la richiesta di avere una rappresentazione all’interno del Consiglio di vigilanza da parte del fondo tedesco. In Italia siamo alla vigilia dell’ennesima iniezione di liquidità governativa nelle casse di Alitalia, che ha messo in cassa integrazione circa 6.600 dipendenti, tra personale di volo e di terra: si parla di 3 miliardi di euro per il nuovo decollo, con la compagnia che dovrebbe essere nazionalizzata, facendoci tornare indietro nel tempo, a prima del 2009 quando venne privatizzata.

 

In fondo non c’è nulla di strano: chiunque si trovasse nella condizione di prestare soldi vorrebbe avere la certezza di vederseli restituire; se poi il debitore godesse di pessima fama, allora meglio aiutarlo a gestire i conti, prima di perdere tutto. Più o meno il discorso che l’Europa ha impostato con il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) che prevede alcuni vincoli da rispettare per ricevere l’iniezione di liquidità. Ma in questo caso le condizioni del sostegno sono parse ai più come un’invasione di campo (l’Italia è pur sempre il terzo sostenitore europeo per numero di azioni e capitale versato).
Di solito parliamo di welfare. Ma in tempi di crisi il benessere equivale ad avere la possibilità di costruire un futuro. E sarebbe meglio che fosse sostenibile. Forse, è l’ultima occasione che abbiamo.

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