Se potessi avere… 10 euro al mese (esentasse)

Se potessi avere… 10 euro al mese (esentasse)

Le somme erogate dall’azienda per rimborsare il dipendente dei costi sostenuti per lavorare in Smart working non sono imponibili ai fini Irpef: a sancirlo è stata l’Agenzia delle Entrate

 

L’indennità da Smart working vale… 10 euro al mese. Ed è esentasse, proprio previsto dalle norme per tutti i beni e servizi del welfare aziendale. A sancirlo è stata di recente l’Agenzia delle Entrate, mentre a determinare l’entità della cifra è stata un’azienda che ha scelto di corrispondere ai dipendenti, che esercitano l’attività di lavoro fuori ufficio, 0,50 euro per ogni giorno di Smart working: ammesso che l’organizzazione scelga un modello di lavoro di totale Remote working (cinque giorni a settimana), significa 2,5 euro a settimana; che moltiplicati per le quattro settimane del mese consentono di arrivare a 10 euro.

 

Per definire la cifra – si legge nella risposta numero 314 dell’Agenzia delle Entrate del 30 aprile 2021 (Oggetto: Reddito di lavoro dipendente, rimborso spese dipendenti in Smart working; Articolo 51, comma 1 del Tuir) – l’azienda s’è messa a far di conto, partendo dal fatto che il luogo di svolgimento della prestazione in Smart working è l’abitazione del dipendente (o altro, al di fuori dell’ufficio), i cui costi diretti sono a carico del personale. Secondo il documento pubblicato, l’azienda ha prodotto una tabella nella quale ha stimato sia il suo risparmio giornaliero sia quello del dipendente in Smart working. Tra le voci considerate: il consumo di energia elettrica per l’utilizzo di un computer e di una lampada e i costi per l’utilizzo dei servizi igienici (acqua e materiale di consumo); inoltre è stato conteggiato il sistema di riscaldamento per un’ora al giorno.

 

Sempre nello stesso documento è specificato che non sono state considerate: le spese di vitto, i costi di climatizzazione estiva, i costi per la Rete internet, i costi fissi quali le spese di allaccio alla rete elettrica e idrica, in quanto ritenuti indipendenti dall’utilizzo dell’abitazione per scopi lavorativi anziché a uso esclusivamente privato. Insomma, la carta igienica (cioè qualche pezzo) è rimborsabile, ma la Rete internet sembra non essere indispensabile per lavorare da remoto: la seconda sarebbe stata un costo per il dipendente a prescindere dall’uso; la prima, invece, necessita ovviamente della presenza per essere consumata (a meno di abbonamenti pay per use…).

 

Giusto per chiarezza, l’azienda ha precisato che l’importo del rimborso giornaliero di 0,50 euro è in realtà inferiore al risparmio dell’organizzazione (0,5105), ma pure di quello stimato dal dipendente (0,5135).

 

Le spese di rimborso non sono tassabili

 

L’Agenzia delle Entrate, ovviamente, non si è pronunciata sull’entità del rimborso, aspetto su cui non può intervenire e che comunque deve rientrare all’interno di un più ampio accordo relativo al lavoro agile, disciplinato – come è noto – dalla Legge 81 del 2017; piuttosto, è stata chiamata in merito al trattamento fiscale delle somme corrisposte dall’azienda a titolo di rimborso ai propri dipendenti in Smart working e, in particolare, alla possibilità di escludere quanto erogato dal reddito di lavoro dipendente.
La risposta? Per capirla nella sua interezza, serve riassumere brevemente ogni passaggio analizzato.

 

L’Agenzia delle Entrate si rifà al “principio di onnicomprensività” del reddito di lavoro dipendente, secondo cui quanto elargito nei confronti dei collaboratori da parte dell’azienda (beni, servizi e opere) costituiscono redditi imponibili e, quindi, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente. La conseguenza, è spiegato nella risposta, è che anche le somme di “rimborso spese” rientrano in questo principio.

 

Tuttavia, è della fine del 1997 una circolare (326) che afferma che sono esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro, anticipate dal dipendente: per esempio quelle utilizzare per l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore (carta per la stampante, batterie per la calcolatrice, ecc). Qualche anno più tardi (2003, circolare 178), la stessa Agenzia delle Entrate ha chiarito che non concorrono alla formazione della base imponibile le somme che non costituiscono un arricchimento per il lavoratore e che non sono fiscalmente rilevanti, in capo al dipendente, le erogazioni effettuate per un esclusivo interesse del datore di lavoro (si pensi agli indennizzi ricevuti a mero titolo di reintegrazione patrimoniale).

 

Il passo successivo è datato 2007 (circolare 357) quando affrondando una specifica questione in merito ai costi dei collegamenti telefonici, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che le somme erogate per rimborsare i costi dei collegamenti telefonici non sono da assoggettare a tassazione, essendo sostenute dal telelavoratore per raggiungere le risorse informatiche dell’azienda messe a disposizione dal datore di lavoro e quindi poter espletare l’attività lavorativa.

 

Inoltre, le norme indicano che le spese sostenute dal lavoratore e rimborsate in modo forfetario sono escluse dalla base imponibile solo nell’ipotesi in cui il Legislatore abbia previsto un criterio volto a determinarne la quota che, dovendosi ritenere riferibile all’uso nell’interesse del datore di lavoro, può essere esclusa dall’imposizione (pe esempio l’uso promiscuo delle macchine). E nel caso in cui il Legislatore non abbia provveduto a indicare un criterio ai fini della determinazione della quota esclusa da imposizione, i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro – ha scritto nella risposta di aprile 2021 l’Agenzia delle Entrate – devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili, al fine di evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

 

È esattamente quanto avvenuto nel caso del rimborso per lo Smart work, perché per determinare la quota dei costi da rimborsare ai dipendenti sono stati utilizzati parametri diretti. “Sulla base di tale considerazione, si ritiene corretto che la quota di costi rimborsati al dipendente, possa considerarsi riferibile a consumi sostenuti nell’interesse esclusivo del datore di lavoro”, ha scritto l’Agenzia delle Entrate. Ecco allora che le somme erogate dall’azienda per rimborsare il dipendente dei costi sostenuti per lavorare in Smart working non sono imponibili ai fini Irpef. Proprio come ogni bene e servizio di welfare aziendale.

About the Author /

dario.colombo@este.it