Pensione, anticipare l’età non basta

Pensione, anticipare l’età non basta

La Riforma Fornero ha scaricato sulla spesa previdenziale oneri eccessivi. Rivederla per il Governo non significa solo anticipare l’età della pensione ma soprattutto avviare al più presto una politica seria che affronti il tema della crescita della produttività, l’occupazione, il miglioramento della qualità dei rapporti di lavoro e delle retribuzioni. Lo dice Roberto Ghiselli, Segeretario Confederale della Cgil e vicepresidente di Assofondipensione.

 

La Ragioneria dello Stato (Rgs), ha recentemente aggiornato al 2018 il suo rapporto sulle tendenze del sistema pensionistico disegnando lo scenario con cui il legislatore si dovrà confrontare sia riguardo la spesa e la sua sostenibilità sia riguardo le norme che regolano l’uscita dal mondo del lavoro.  Rispetto al rapporto dello scorso anno, per la prima volta la Rgs stima che, in base al nuovo scenario demografico reso noto dall’Istat la scorsa primavera, nel 2021 non scatterebbe alcun adeguamento all’allungamento dell’aspettativa di vita. Ciò significa che il limite dell’età di vecchiaia necessario per ritirarsi dal lavoro resterebbe fermo a 67 anni, mentre il requisito per la pensione di anzianità sarebbe confermato a 43 anni e 3 mesi per gli uomini e uno in meno per le donne. Gli adeguamenti riprenderebbero a un ritmo più elevato dal 2023 e nel 2029 il requisito per la vecchiaia raggiungerebbe i 68 anni, con due di anticipo rispetto al percorso già fissato e basato sulle precedenti previsioni demografiche Istat.
Riguardo alla spesa pensionistica la Rgs conferma le previsioni precedenti collocandola al 15,1% del Pil tra il 2019 e il 2021 e poi in graduale salita fino al 16,2% del 2044. Successivamente dovrebbe scendere in seguito alla scomparsa delle generazioni del baby boomer.
«Le stime della Rgs sulla spesa pensionistica aggiornate al 2018 sono verosimili ma premature», commenta Roberto Ghiselli, Segeretario Confederale della Cgil e vicepresidente di Assofondipensione. «Sarà l’Istat a determinare i dati più chiari entro la fine del prossimo anno. In passato siamo stati abituati a sorprese, come il balzo di 5 mesi che si determinerà dal 2019. Ma il punto di fondo è che l’attuale sistema di adeguamento delle condizioni pensionistiche alla speranza di vita, compresa la tripla penalizzazione sui requisiti anagrafici, contributivi e sui coefficienti di trasformazione, va superata, tenendo conto anche delle diverse aspettative di vita in rapporto all’attività lavorativa svolta. È quindi importante che la Commissione istituita con l’ultima Legge di bilancio su questo argomento inizi al più presto a lavorare».

La Rgs parla anche di un calo demografico e di una progressiva diminuzione dei flussi migratori, quindi assegni da pagare per più tempo e meno entrate contributive. Oltre che con l’incremento programmato dei requisiti di età pensionabile, come pensa sia possibile rendere sostenibile il sistema pensionistico?
Le stime più recenti a cui fa riferimento la Ragioneria per la verità attenuano, rispetto alle previsioni precedenti, l’impatto della spesa previdenziale sul Pil, anche nel lungo periodo. E quei dati, nella comparazione a livello comunitario, sono sovrastimati perché incorporano nella spesa una componente assistenziale e fiscale maggiore rispetto agli altri Paesi. Aggiungo che l’ultima relazione della Corte dei Conti sulla spesa previdenziale attesta che rispetto alle previsioni della contabilità pubblica, al 2017 la spesa è stata inferiore di ben 20 miliardi. Ma il punto vero su cui concentrarsi, guardando alla sostenibilità strutturale del sistema, è un altro.
Quale?
Essa è determinata oltre che dai fattori demografici anche da quelli economici e del lavoro. È necessaria quindi una politica seria che affronti il tema della crescita della produttività del sistema, della crescita dell’occupazione e del miglioramento della qualità dei rapporti di lavoro e delle retribuzioni. E direi anche una politica più saggia, e solidale, nella gestione dei flussi migratori.
Il metodo di calcolo contributivo, dal 2012 esteso a tutti i lavoratori, consente un incremento del montante contributivo se si versa più a lungo. Non pensa che anticipi pensionistici o deroghe per il pensionamento possano rappresentare un problema per l’adeguatezza delle prestazioni?
Certamente nel regime contributivo, attraverso il sistema dei coefficienti di trasformazione, esiste un rapporto più stretto fra l’età di pensionamento e il rendimento pensionistico. Principio anche giusto se inserito in un contesto di effettiva flessibilità in uscita, per esempio estendendo questa anche al regime misto e rimuovendo i vincoli dell’1,5 e 2,8, e se bilanciata da elementi solidaristici, come un reale riconoscimento dei lavori gravosi, del lavoro di cura e delle donne, del lavoro debole e discontinuo. Interventi che consentirebbero una anticipazione pensionistica senza alcuna penalizzazione nel valore della prestazione.
Il Ddl Concorrenza del 2017 ha introdotto la possibilità di aderire al fondo di previdenza complementare anche versando una percentuale minima di Tfr, purché ciò sia espressamente previsto dagli accordi collettivi. Ma sempre  più iscritti a fondi pensione  interrompono i versamenti.Come è possibile agevolare le contribuzioni alla previdenza complementare?
Alla previdenza complementare aderiscono attualmente circa 3 milioni di lavoratori, rispetto ad una platea complessiva di 15 milioni. Il conferimento parziale del Tfr è utile ma non determinerà spostamenti significativi. Sono necessari interventi più radicali, come l’estensione delle adesioni per via contrattuale; una diversa procedura per l’adesione che renda effettivamente libero il lavoratore di esercitare la scelta sottraendolo agli attuali condizionamenti dell’impresa; un diverso sistema di incentivazione fiscale orientato particolarmente al lavoro debole e discontinuo; una campagna di comunicazione istituzionale che informi correttamente i lavoratori sulla opportunità rappresentata dalla previdenza complementare. Tutto ciò partendo dalla constatazione che oggi sono pochi gli aderenti alla previdenza complementare delle piccole imprese, dei settori più deboli, di chi fa lavori precari o a bassa retribuzione, come i part-time, ma anche le donne e i giovani. Le parti sociali e Assofondipensione hanno definito un progetto per rafforzare ed estendere la conoscenza, le adesioni e le tutele ai lavoratori, creando anche una solida rete territoriale di servizio, ma è necessario che anche il Governo faccia la sua parte.
Quali delle proposte della piattaforma sindacale unitaria del 2015, non accolte nell’ultimo confronto Governo-Sindacati, vanno nella direzione della sostenibilità del sistema pensionistico e della adeguatezza delle prestazioni ?

L’obiettivo più generale è un sistema realmente flessibile nel quale è il lavoratore a decidere, entro certi limiti, quando andare in pensione, sulla base delle concrete e diverse condizioni soggettive: professionali, familiari, economiche o di salute. Un sistema contributivo ma corretto da elementi solidaristici. Un sistema che già incorpora, nel medio e lungo periodo, gli elementi di sostenibilità attuariale e che comunque richiede anche una compartecipazione da parte della fiscalità generale perché, essendo stata la Riforma Fornero una manovra finanziaria che ha scaricato sulla spesa previdenziale oneri eccessivi, è necessario che l’insieme del Paese si faccia carico del problema con un criterio di progressività e di equità sociale. I temi più specifici sono noti: giovani, lavoro di cura, donne, lavori gravosi, precoci, esodati, modifica del meccanismo sull’aspettativa di vita, sostegno alla previdenza complementare, tutela del valore delle pensioni in essere, modifica del sistema Tfr/Tfs per i pubblici dipendenti, riforma dell’Inps.

 

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