Pepp, tante potenzialità e qualche nodo da sciogliere

Pepp, tante potenzialità e qualche nodo da sciogliere

Nel 2019 le aziende con business in diversi paesi europei potrebbero avere a disposizione un nuovo strumento di previdenza integrativa da inserire nei loro piani welfare: i Pan european pension product (Pepp). Ma per il loro definitivo decollo restano alcuni aspetti da chiarire. In primis quello fiscale.

 

Per le aziende con business in diversi paesi europei attente alle esigenze dei loro dipendenti nel 2019 potrebbe esserci  a disposizione un nuovo strumento di previdenza integrativa da inserire nei pacchetti welfare. Dovrebbero infatti essere in arrivo per fine anno, anche sul mercato italiano, i Pan European pension product (Pepp). Si tratta di nuovi prodotti di previdenza complementare   approvati nel luglio del 2017 dalla Commissione europea con gli stessi standard in tutta l’Ue destinati ad affiancare i regimi nazionali. Si rivolgono a lavoratori in mobilità che, migrando da un paese europeo all’altro nel corso della loro carriera lavorativa, potranno portare con sé il proprio piano di previdenza integrativa. Ma il loro lancio per fine anno non è certo visto che gli aspetti da chiarire sono diversi.

 

I nodi da sciogliere per il decollo

 

La presidenza di turno austriaca dell’Ue punta, infatti, ad approvare il Regolamento varato dalla Commissione europea lo scorso giugno, per implementare questi strumenti. Ma il percorso non è dei più semplici. «L’introduzione dei Pepp sarà tanto più utile quanto più favorirà la nascita di prodotti pensionistici semplici, standardizzati e facilmente fruibili soprattutto dai tanti europei: ad oggi è una meta da raggiungere piuttosto che un obiettivo a portata di mano», ha evidenziato Maria Bianca Farina, presidente di Ania (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), durante il convegno La nuova previdenza integrativa e la sfida dei Pepp, recentemente organizzato dall’Associazione presso la sede milanese di Allianz. Diversi infatti sono i nodi da sciogliere a partire dal tema degli incentivi fiscali accordati, piuttosto che dei requisiti informativi che saranno richiesti e determineranno trasparenza ed economicità dei Pepp. «Ogni paese europeo ha un sistema fiscale peculiare e non sarà facile armonizzarli tra loro», ha osservato durante l’incontro il Presidente di Covip (Commissione di vigilanza sui Fondi Pensione), Mario Padula che ha sollevato perplessità anche sul sistema di price cap suggerita nei documenti europei, che rischia di alzare poco sotto quell’asticella gli oneri a carico dei sottoscrittori. Mentre Riccardo Cesari, Consigliere di Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni), ha sottolineato che anche la garanzia di garanzia del capitale, indicata nella proposta di regolamento presentata nel giugno scorso da Bruxelles, necessita di una messa a punto per evitare confusioni tra garanzia contrattuale e protezione probabilistica degli asset. Tutti aspetti che vanno chiariti in questi mesi se l’obiettivo è quello di suscitare nei lavoratori interesse per questo innovativo strumento di previdenza complementare.

 

Perché i Pepp

 

La necessità di un prodotto di pensione integrativa paneuropeo nasce dal fatto che, secondo le statistiche, il rapporto tra popolazione attiva e quella in pensione raddoppierà nei prossimi 50 anni. Date queste previsioni e la difficoltà di tutti gli Stati membri nel sostenere i sistemi pensionistici pubblici, ci sarà bisogno in tutto il territorio europeo di una forma di risparmio pensionistico da affiancare alla pensione pubblica. Il mercato europeo della previdenza integrativa presenta una regolamentazione e uno sviluppo estremamente diverso da Paese a Paese all’interno dell’Unione Europea e il numero dei cittadini che hanno aderito al sistema della pensione integrativa resta limitato e soprattutto concentrato in pochi Stati.
Basti dire che al momento solo un europeo su quattro è coperto da una forma di pensione complementare e i Pepp, secondo le previsioni della commissione di Bruxelles potrebbero aggiungere nuovo risparmio previdenziale stimato in 700 miliardi di euro al 2030.

 

 

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