Public Benefit, il sostegno “nascosto” al welfare aziendale

Public Benefit, il sostegno “nascosto” al welfare aziendale

In Italia, Paese in cui tra il 1991 e il 2022 i salari reali sono cresciuti dell’1% contro una media OCSE del 32.5% e che ha visto i salari aumentare del 3% nel 2023, a fronte però di una crescita dell’inflazione di fondo del 5.1%, il welfare aziendale è ormai un elemento di sostegno al reddito importante per milioni di lavoratori dipendenti. Nonostante un favorevole trattamento fiscale e la decontribuzione previdenziale, in Italia un piano di welfare aziendale vale ancora, mediamente, appena 1.000 euro.

 

Alla creazione di questo “tesoretto” contribuiscono benefit divisi in due categorie: flexible e fringe benefit. I primi, includono servizi complementari al reddito standard, vengono concessi dalle aziende a categorie omogenee di dipendenti e sono regolati dai collettivi nazionali e/o aziendali. I secondi invece, il cui tetto per il 2024 è stato alzato a 1.000 per i lavoratori senza figli e a 2.000 a quelli con figli a carico, sono di fatto dei “compensi in natura” e costituiscono un contributo aggiuntivo alla retribuzione standard del dipendente che può essere erogato anche singolarmente oltre che a gruppi (anche) non omogenei di lavoratori. In entrambi i casi, si tratta di soluzioni vantaggiose sia per i lavoratori (sono completamente esentasse), sia per i datori di lavoro (sono importi completamente deducibili dal reddito d’impresa e non si versano contributi previdenziali).

 

Esiste però o almeno dovrebbe esistere una terza categoria di benefit, che non sono erogati dalle aziende, ma che potrebbe comunque utilmente far parte del welfare aziendale e che vale, stima Bonoos, prima società ad operare come Welfare Integration Partner, circa 1.200 euro all’anno: un valore capace di raddoppiare quello medio degli usuali piani welfare aziendale. Stiamo parlando dei cosiddetti Public Benefit, ovvero dei numerosi bonus messi a disposizione dallo Stato, dalle Regioni e dai Comuni. In Italia sono ormai centinaia (stando al censimento operato da Bonoos sarebbero oltre 600) e poco più della metà (il 50.7% secondo una recente rilevazione dell’azienda) non prevedono attestazioni ISEE all’accesso, mentre i più rilevanti della metà rimanente sono destinati a nuclei familiari con livelli ISEE tra 40.000 e 50.000 euro, una fascia in cui ricade gran parte dei lavoratori dipendenti. Quote significative di questi bonus sono dedicati a vario titolo alla famiglia (il 49.7%), come il bonus asilo nido o l’assegno unico famigliare, o alla cura di persone non autosufficienti o affette da disabilità (il 26,7%).

 

Rendere conoscibili e facilmente accessibili queste misure pubbliche, per lo più ignote o poco note ai potenziali beneficiari, potrebbe fare la differenza per milioni di persone e socialmente meritorio per le imprese sarebbe includere il superamento di questo gap conoscitivo tra le misure di welfare. Che si tratti di un tema “forte” sul piano sociale emerge, ad esempio, dal Rapporto INAPP 2022: il 37% degli italiani non è a conoscenza dell’esistenza di bonus e contributi pubblici a favore del cittadino. Un numero vicino a quanto rilevato, nel 2015, da studio della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound), secondo cui il 40% dei cittadini europei non accede a bonus a cui avrebbe diritto: “I motivi sono fondamentalmente due – spiega Giovanni Scansani, co-founder e Amministratore Delegato di BONOOS – il primo e più importante è la mancanza di conoscenza dell’argomento. In moltissimi casi, i cittadini non sono a conoscenza dell’esistenza dei bonus, anche a causa della scarsa comunicazione in merito da parte delle istituzioni che li erogano. Il secondo, invece, riguarda le complessità burocratiche che spesso scoraggiano i beneficiari dall’attivare le procedure necessarie per accedere ai bonus”.

 

E proprio in questo contesto, le aziende avrebbero una grande opportunità, ovvero integrare nei propri piani di welfare aziendale i public benefit, aiutando i propri dipendenti a conoscere le opportunità che offrono e soprattutto aiutandoli ad accedervi. In questo modo senza aprire il portafoglio, ma sfruttando risorse che l’amministrazione pubblica ha già destinato a tale scopo, potrebbero ingrossare in maniera consistente la cifra incassata dai dipendenti, senza aumentare le proprie uscite. Per fare tutto questo serve innanzitutto una maggiore conoscenza dei public benefit, anche da parte degli HR manager, che a loro volta sono scarsamente informati sul tema. Basti pensare ai dati che emergono da una survey effettuata da Bonoos lo scorso dicembre, secondo cui l’88% degli HR Manager non conosce con esattezza la dimensione complessiva dei Public Benefit cui i lavoratori potrebbero accedere, i quali evidenziano a questo proposito un gap conoscitivo nel 90% dei casi. “Ciò che va compreso – spiega ancora Scansani – è che il welfare aziendale esprime la sua massima efficacia solo se, oltre agli usuali fringe e flexible benefit di fonte privata, non dimentica per strada i numerosi public benefit disponibili”. La buona notizia in questo senso arriva proprio dai direttori delle risorse umane che nel 63% dei casi, stando alla survey, si dicono disponibili a integrare i bonus pubblici nei loro piani di welfare aziendale, ancorché 6 manager su 10 non siano del tutto a conoscenza del potenziale valore che potrebbe essere generato attraverso un maggiore tasso di take-up dei Public Benefit disponibili.

 

Articolo pubblicato originariamente sul numero di febbraio di TouchPoint Magazine

 

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