Come il welfare aziendale può aiutare l’occupazione giovanile e la crescita del nostro Paese
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Come il welfare aziendale può aiutare l’occupazione giovanile e la crescita del nostro Paese

Promuovere un modello di welfare aziendale come un ecosistema in cui l’azienda, i lavoratori e il territorio si riconoscono parte della stessa filiera: è questa la missione di GIDP – HRDA (Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale – Human Resources Directors Association), un’associazione di circa 4.500 HR manager ed HR director. Marina Verderajme, Presidente Nazionale GIDP – HRDA, ci spiega come il welfare aziendale può essere il collante di questo sistema circolare, per favorire allo stesso tempo l’occupazione giovanile e l’intero sistema Paese.

 

La Manovra finanziaria contiene diverse novità in tema di lavoro e welfare, con elementi positivi e meno positivi. Cosa c’è per i giovani?

 

Sicuramente la Manovra pone grande attenzione al tema demografico, un argomento che sta da sempre molto a cuore anche alla nostra associazione. La presenza di giovani esercita infatti un forte impatto sull’organizzazione aziendale, soprattutto per quanto riguarda il tema del rinnovo e del ricambio generazionale all’interno delle aziende. Per affrontare la questione in modo efficace tuttavia, non bisogna considerare le necessità dei giovani solo in relazione all’inserimento nel mondo del lavoro, ma anche e soprattutto alla loro vita a 360 gradi: dalla ricerca di un giusto equilibrio tra vita privata e professionale, alle agevolazioni per i mutui, agli sgravi fiscali per le mamme lavoratrici, alle agevolazioni per gli asili nido. Apprezziamo quindi tutte le novità contenute nella Manovra che vanno in questa direzione, in quanto dimostrano una visione a lungo termine in un Paese come l’Italia afflitto dal grave problema del calo demografico. Siamo inoltre felici di vedere che finalmente il mondo privato e pubblico convergono: i programmi di welfare aziendale e, a livello più alto, l’agenda politica stanno ponendo entrambi al centro dell’attenzione quello che la nostra associazione chiama “i carichi di cura” o “cultura della cura”.

 

Cosa manca a un salto in avanti nelle politiche del lavoro?

 

A nostro avviso non si pone ancora abbastanza enfasi a un aspetto che riteniamo fondamentale per accompagnare i giovani nel mondo del lavoro: ovvero il profondo gap tra le richieste del mercato e la preparazione offerta dalla scuola e dal mondo della formazione. La conseguenza è l’offerta di tante posizioni aperte, anche per ruoli importanti (soprattutto in ambiti tecnico-scientifici), a cui si contrappone una differente domanda da parte dei giovani in cerca di lavoro ma in possesso di skills diverse da quelle richieste dalle aziende. Riteniamo quindi urgente apportare politiche attive del lavoro, puntando sulla struttura e l’offerta di percorsi di formazione superiore di stampo tecnico e scientifico che siano molto più aderenti alle reali richieste del mercato del lavoro. Per riuscirci è necessario rivedere totalmente il sistema d’educazione secondaria, avvicinando il mondo delle imprese alla scuola attraverso percorsi d’inserimento e di mentoring strutturati, non come semplice strumento di accumulo di crediti didattici pro forma.

 

Guardando al welfare aziendale, è indubbio che l’Italia sta facendo dei grandi passi in avanti in materia, ma cosa manca ancora?

 

Riconosciamo gli enormi avanzamenti del nostro Paese in questo ambito, per esempio la disponibilità dei fringe benefit o il diffondersi di politiche di welfare aziendale attraverso il supporto di piattaforme dedicate. Tuttavia riteniamo che ci sia ancora margine per rendere il welfare aziendale un caposaldo fondamentale nel mondo del lavoro, attraverso cui potenziare la “cultura della cura”. Nel concreto questo significa non riporre attenzione solo nei confronti del dipendente ma anche a tutta la sua famiglia (coniugi, figli e genitori in primo luogo). Per esempio un’azienda potrebbe offrire percorsi di formazione e di inserimento graduale nel mondo del lavoro ai figli dei propri dipendenti. Abbiamo già qualche esempio aziendale positivo in tal senso, ma se questo approccio si affermasse come un trend strutturale, siamo convinti che potrebbe fare davvero la differenza.

 

Parlando di occupazione giovanile: quali sono le prospettive e come è possibile superare il mismatch di cui tanto si parla soprattutto al sud? Da dove cominciare?

 

La formazione tecnica è sicuramente una delle risposte a questa problematica. Un altro elemento su cui si può lavorare riguarda tutte quelle tipologie di azioni e approcci, come il south working, che privilegino il lavoro dei giovani al sud, valorizzando le competenze e coinvolgendo imprese e hub che offrono impiego in progetti non necessariamente legati al territorio in cui si lavora. In questo senso, la tecnologia, la digitalizzazione e la flessibilità offrono senz’altro tante nuove opportunità di lavoro da remoto. Diverse grandi aziende del Nord e del Centro si stanno già muovendo per aprire nel Sud Italia non delle filiali, ma degli hub che gestiscano il lavoro di giovani lavoratori del Sud senza sradicarli dal loro territorio. In questo modo si ottiene il doppio effetto di agevolare l’occupazione giovanile aiutando nello stesso tempo il sistema Paese. È chiaro però che per riuscire in questo intento serve la convergenza di due elementi: da un lato la promozione attiva di questa nuova cultura del lavoro e, dall’altro, le capacità degli HR manager (centrali in questo processo) di organizzare e mettere concretamente in atto questa evoluzione.

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