Gender pay gap: ecco la direttiva europea, ma la strada è ancora lunga
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Gender pay gap: ecco la direttiva europea, ma la strada è ancora lunga

Il 39.8% delle donne, in Italia, ha un reddito inferiore ai 15.000 euro annui. Di queste il 24.8% sono “lavoratrici continue”, ovvero che lavorano tutto l’anno. Nonostante questo si trovano in una condizione di vulnerabilità economica. Gli uomini in questa condizione, invece, si fermano al 6.8%. Basterebbe questo dato, che emerge dalla ricerca ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) “Lavorare dis/pari, ricerca su disparità salariale e di genere”, realizzata dall’Area Lavoro delle ACLI Nazionali, in collaborazione con il Coordinamento Donne ACLI che ha preso in esame 1.321.590 dichiarazioni fiscali (modello 730) del 2021 per capire quanto il tema della disparità salariale sia forte nel nostro paese. Il report, invece, ci fornisce molti altri numeri, probabilmente ancora più significativi. Ad esempio tra le donne lavoratrici under 35 anni quasi una su due (49,2%) ha un reddito al di sotto dei 15.000, numero che riguarda il 31,2% tra quelle che lavorano tutto l’anno. E ancora, guardando allo stipendio netto mensile dei lavoratori nel comparto dei servizi, si scopre che il gender pay gap è diffusissimo: il 69.4% delle donne non supera i 1.500 euro al mese di stipendio, percentuale che crolla al 35.7% tra gli uomini.

 

Non è un caso, allora, che il 58% delle donne dichiari di avere un lavoro, ma non una carriera (38% tra gli uomini) e che una su due (50.1%) ritenga il proprio reddito insufficiente. Stupisce invece la poca consapevolezza degli italiani, a cominciare delle donne, di questa situazione se solo il 25% di esse (e il 20% tra gli uomini) si dichiara “poco o per nulla d’accordo” riguardo all’esistenza di una parità di trattamento sul lavoro.

 

Per una volta, però, siamo in “buona compagnia” visto che in media le donne europee guadagnano il 13% in meno degli uomini a parità di mansione (In Italia il 12.5%). Per questo, l’Unione Europea sta provando a correre ai ripari e per ridurre il Gender pay gap vuole iniziare dalla trasparenza retributiva. Lo scorso 10 maggio è stata approvata in via definitiva una direttiva “volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione“ che impone la trasparenza salariale. L’obiettivo è eliminare ogni discriminazione, arrivando all’equiparazione degli stipendi a parità di mansione.

 

I datori di lavoro, senza distinzione tra pubblico e privato, saranno quindi obbligati a dichiarare in sede di colloquio e nell’avviso di ricerca di lavoro le informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla fascia retributiva dei posti vacanti pubblicati. Inoltre, nel testo si legge che “Tutti i lavoratori dovrebbero avere il diritto, su loro richiesta, di ottenere informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, della categoria di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore rispetto a quello svolto da loro”. La norma, poi, ribalta l’onere della prova: non sarà più il lavoratore a dover dimostrare la discriminazione, ma toccherà al datore dimostrare di non aver violato la normativa UE. Gli stati membri dell’Unione hanno tre anni di tempo per adeguarsi alla normativa, adeguando la legislazione nazionale.

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